Dopo una lunga e dolorosa lotta contro le conseguenze del tragico incidente avvenuto nel marzo di quest'anno, è venuto a mancare il musicista e compositore Vlado Benussi. So che la comunità rovignese è cosciente del peso della perdita perché, quando muore un vero artista, con lui se ne va un pezzo di mondo, la scomparsa dell'uomo ci ruba una parte della bellezza, impoverisce la vita. Ero un bambino quando ascoltai, per la prima volta, rapito, all'estivo dell'allora Circolo italiano, la voce di Vlado e i movimenti sinuosi alla chitarra. Ogni nuovo incontro con il talento di Vlado diventava un'esperienza unica e irripetibile. So che i concittadini condivideranno queste sensazioni, sapranno valutare il peso del ricordo dell'artista. Nella bella canzone L'Istrione (Le cabotin) il grande cantautore francese Charles Aznavour canta del “fuoco sacro” che brucia in lui e che “accende” la commedia. Di fronte all'anima dell'artista dobbiamo inchinarci. Come si può non amare un vero talento? L'artista ci innalza, ci porta a toccare altitudini che diversamente ci sarebbero precluse. Per quanto piccola sia la comunità in cui cresce e vive il vero artista, essa con lui e grazie a lui tocca e si immerge nell'universale. Ciò vale di più per un musicista poiché la musica travalica i confini, li annichilisce. Vlado era tutto nel suo talento, viveva nella musica. È vissuto e cresciuto in una piccola-grande comunità nella quale la musica ha avuto un ruolo dominante e questo dice molto della nostra Rovigno, della sua anima nel passato, nel presente e nel futuro. Vlado ha dedicato la sua vita e ha messo il suo talento al servizio della città natale: ha curato la tradizione canora autoctona, il suo dialetto, o meglio, la sua lingua, ha composto arie e canzoni che oggi fanno parte del repertorio classico del canto corale rovignese, ha scritto versi nella lingua dei suoi antenati, ha completato ricerche etno-musicali con l'intento di fermare l'usura del tempo, di rendere testimonianza imperitura. Vlado è stato un pedagogo eccellente, ha saputo, come pochi, trasmettere il suo amore, il suo talento e le sue conoscenze ai giovani. Non si è mai staccato dalla scuola elementare italiana dove ha insegnato, non ha mai abbandonato la sua Comunità degli italiani.
Nel 2015 Vlado ha ottenuto il riconoscimento alla carriera Opera Omnia con la seguente motivazione: “...per il suo incommensurabile apporto all'attività didattica volta al mantenimento e alla divulgazione del retaggio linguistico, artistico e culturale, orientato in particolare al recupero delle tradizioni linguistiche e musicali dello specifico microcosmo rovignese, nonché istroveneto in generale.”
Non è mia intenzione ripercorre e riassumere in questo momento il vasto opus artistico come compositore, poeta e ricercatore. Nel momento del distacco resto accanto all'anima dell'artista che non può morire, il talento sopravvive al corpo e questo è un dato oggettivo inconfutabile. Quindi, Vlado, nel salutarti ti invio questo modesto e breve messaggio: tu resti con noi, il tempo confermerà che il “fuoco sacro” è qualcosa che non si può spegnere.
Elio VELAN
Anche quest’anno, il nostro socio, il maestro internazionale di fotografia, Virgilio Giuricin, ha ricevuto il primo premio al Concorso “Istria Nobilissima” organizzato dall’Unione italiana di Fiume e dall’Università popolare di Trieste
Primo premio nella categoria ARTI VISIVE sezione FOTOGRAFIA al 51° Concorso d’Arte e di Cultura 2018. La motivazione della giuria: per l’insieme delle opere fotografiche che vanno a comporre un ‘installazione geometrica di marcato stile e chiari riferimenti pittorici
Virgilio Giuricin ha presentato la sua visione, particolarissima, della Barcolana
Torre, 15/12/2018
L'ASSOCIAZIONE „GIUSTO CURTO HA REALIZZATO LA „MOSTRA SEGARIOL-CHERIN”
Stiamo parlando dell'allestimento di una prestigiosa mostra concepita nell'intreccio tra il lascito del fotografo rovignese Claudio Cherin e l'imponente fonte documentaristica racchiusa nelle pagine del Diario del concittadino Antonio Segariol.
L' idea è nata in seguito alla decisione degli eredi del Rovignese Claudio Cherin, che vogliamo ancora una volta ringraziare, di donare alla nostra Associazione l'imponente archivio fotografico costruito dal compianto amico Claudio, con passione, nell'arco di tutta la sua vita. L'atto di donazione dell'archivio è il frutto del lungo dialogo del nostro presidente con gli eredi, convinti alla fine della bontà degli intenti e dei programmi della nostra Associazione.
Visionando le oltre seimila foto (è tuttora in corso il lavoro di archiviazione-digitalizzazione e restauro dei negativi) abbiamo ripreso in mano il Diario del barbiere rovignese Antonio Segariol: “Cronache di Rovigno: Notizie e fatti più notevoli dall'anno 1889 all'anno 1974”. Le Cronache sono state pubblicate nel 2000 come primo volume della collana “Biblioteca istriana, Documenti e testimonianze” edito dall' Unione Italiana e dall' Università popolare di Trieste. La pubblicazione è stata curata da Antonio Pellizzer nell'ambito dell'attività della Sezione etnografica della CI di Rovigno. L’originale del Diario è custodito nel Museo civico della Città di Rovigno.
Elio Velan, uno degli ideatori e curatori del progetto, conosce molto bene il Diario del Segariol visto che, agli inizi degli anni novanta, aveva iniziato a pubblicare pezzi dall'originale sulle pagine dell'allora mensile della CI Le Cronache da lui fondato e diretto (sono usciti 15 numeri). La pubblicazione degli inserti del Diario veniva di regola affiancata dalle foto che Claudio metteva generosamente a disposizione.
Annota il Velan: “Dopo qualche mese di lavoro di visionatura delle foto mi è venuto d'istinto alternare la schedatura del materiale fotografico con la lettura del Diario. Mi sono chiesto perché e mi sono dato una risposta che non è o non vuole essere retorica: quando l'amore per la propria città si coniuga alla curiosità per le vicende del luogo e degli uomini diventa impossibile non collegare e unire due personaggi che con passioni diverse (l'uno per la fotografia l’altro per la scrittura) hanno tentato di rappresentare questo nostro piccolo-grande microcosmo.
Quindi l’incontro tra Segariol e Cherin non è casuale nonostante siano personaggi, non solo anagraficamente, molto diversi.
Il pittore accademico e insigne restauratore Egidio Budicin e lui ha accettato di guidare l'allestimento.”
Primo risultato:
Il materiale fotografico, stato restaurato, per l’occasione, dal notissimo maestro di fotografia Virgilio Giuricin
abbiamo il Diario,
Un noto professionista ha allestito la mostra,
Per la mostra abbiamo avuto a disposizione il Centro multimediale.
Da questi dati oggettivi è stata concepita l'idea portante, assolutamente originale:
Quello che abbiamo costruito, non è una mostra di fotografie ma un avvenimento multimediale che racconta per immagini (le foto dell'Archivio Cherin) e suoni (le voci dei nostri solisti e canturi) la Cronaca del Segariol.
E' stato costituito il metodo per unire le varie componenti in mostra il che ci porta ad alcune considerazioni di carattere temporale e biografico.
Antonio Segariol è nato a Rovigno il 18 settembre 1888.È morto a Rovigno il 16 gennaio 1980 (aveva 91 anni). Il Diario segue la sua vita senza interruzioni, sempre nella sua città, attraversando tre mutamenti radicali: Austria-Ungheria, Italia, Jugoslavia.
Claudio Cherin è nato a Rovigno il 30 settembre 1933. È morto a Trieste nel 1998. Le foto raccolte vanno dalla fine dell'Ottocento fino alla fine degli anni quaranta visto che Cherin abbandona la sua città nel corso delle opzioni aperte nel 1951. Dal 1951 al 1974-77 (fine del diario) la sua passione per la fotografia si alimenta nel microcosmo degli esuli rovignesi, raccoglie un'enorme quantità di foto provenienti dalle collezioni di famiglia di chi ha abbandonato la città natale. Egli non vive la realtà di Segariol che, rimasto a Rovigno, annoterà anche gli avvenimenti nei quali il popolo di maggioranza è divenuto, come conseguenza degli avvenimenti storici, popolo di minoranza.
Se dovessimo attenerci alla scansione cronologica il progetto non si potrebbe realizzare. Come fai a raccontare le prime 302 pagine del Diario e tralasciare le rimanenti 128?
LA SOLUZIONE
Leggendo e rileggendo il Diario, seguendo la logica delle annotazioni, entrando a poco a poco nel personaggio, osservando la bottega di barbiere, immedesimandoci in quell'originale punto di osservazione ci siamo accorti che Segariol alla fin fine non fa che seguire, da buon musicista e cantadur-bitinador, i ritmi della città che non sono i ritmi della città di oggi.
Sono i ritmi delle siccità e degli inverni rigidi, di grandi pescate e stagioni meno o poco generose. I ritmi delle due grandi fabbriche con la manodopera in prevalenza femminile che dà un ruolo particolare alla donna rovignese.
E poi, il ritmo della guerra drammaticamente onnipresente nella storia del Novecento, dei cambi di regime e statualità che hanno determinato la vita, il destino come del Segariol, nato e morto nella sua città natale, che di Claudio Cherin, nato a Rovigno e morto a Trieste dove partì esule con la famiglia nel 1951. Ora, questa dimensione dovrebbe venir compresa da tutti al di la' degli sconvolgimenti, perché noi oggi, indipendentemente dal ribaltone etnico abbiamo perso questi ritmi e viviamo il nuovo e monotono ritmo del turismo: non ci sono più pescatori, marinai, sapaduri e neanche operai....
Ecco allora che la mostra-evento diventa il luogo di rappresentazione di una comunità di lavoro che è comunità di lingua, cultura e tradizioni (in buona parte scomparse). La mostra fissa questa comunità, la fa rivivere senza retorica, così com'era. E qui le foto abbondano. Una mostra che va oltre la cartolina ingiallita.
Buona lettura
Corrado Pellizzer
In memoriam
Corrado aveva il talento del cantastorie, una dote rara e preziosa su cui si fonda buona parte della cultura mediterranea.Senza la capacità di rappresentare sé stessa la vita molto spesso rasenta la banalità. È per questo che gli antichi greci veneravano i loro aedi e i loro rapsodi che raccontavano sostenendo le parole con la musica.
Corrado si serviva della cucina e della convivialità e ogni sua festa diventava una rappresentazione in cui era allo stesso tempo attore e regista. I convenuti e gli invitati lo attendevano, confesso la personale fascinazione. Quando lo vedevo arrivare qualcosa scattava in me, una piacevole eccitazione, come quando da bambino mi si apriva il sipario del teatro Gandusio. Era lui che distribuiva le parti e tesseva il canovaccio a cui la compagnia si adattava.
Certo, lo scenario era Rovigno, ma non la città reale bensì quella dipinta dal buon Antonio Macchi. Come tutti i cantastorie di razza, Corrado era immerso nella cultura popolare rovignese, se ne serviva con naturalezza, dosava vizi e virtù, storie di mare e di campagna. Dipingeva i personaggi delle sue storie sciorinando un'incredibile sequenza di intricati rapporti di parentela e di lavoro. Penso che la sua grande passione sia stata da sempre il mare e, ovviamente, la gente di mare: i pescatori e i marinai.
Gli innumerevoli convivi che hanno scandito la sua vita pubblica credo siano altrettanti quadri di vita in cui ha saputo rappresentare sé stesso e la sua città, sempre e comunque dosando ironia e autoironia, lo scherzo e la complicità che richiedeva a tutti i convitati.
L'ultima drammatica rappresentazione si è svolta mercoledì undici novembre, la festa di San Martino. Corrado ha raccolto amici e familiari, ha diretto il convivio fino all'attimo in cui il cuore ha smesso di battere. Mentre tutti intorno a lui gustavano l'ultimo piatto di una festa diretta con maestria il cantastorie ha chiuso gli occhi e ci ha lasciati.
Nella sua ultima rappresentazione ha dipinto con tinte forti il mistero della vita e della morte. Lo scrittore Fulvio Tomizza ha chiuso il suo romanzo La miglior vita con un'illuminazione sorprendente: quando muore un uomo muore con lui il mondo.
Credo che se l'anima esiste la sua sostanza è il tempo e quindi affido al cantastorie il verso di Biagio Marin: Fa che la morte mia, Signor, la sia comò 'l score de un fiume in t'el mar grando...
Elio Velan
L'ultimo saluto
Venerdì 13 novembre nel rivolgere, a nome degli amici, l'ultimo saluto a Corrado Pellizzer, ho colto l'occasione per rendere omaggio alla sua straordinaria personalità: Quella di un Uomo che ha saputo affrontare la vita a viso aperto dando sempre il massimo di sé stesso alla famiglia, che ha fatto crescere nell'armonia e nella concordia, e ai numerosi amici con i quali, nel rispetto reciproco, ha coltivato pluriennali e sinceri valori. Questa sua generosità corroborata dal suo irrefrenabile entusiasmo, nel darsi all'intera collettività, ne ha fatto uno dei personaggi di spicco della Rovigno autentica e verace: Un rovignese doc riconosciuto come tale non soltanto dai propri concittadini ma anche dai tanti visitatori e da coloro che si sentano legati affettivamente alla nostra città. Per noi, che abbiamo avuto la fortuna e l'onore di essergli stati vicino nel suo percorso umano, rimarrà per sempre vivo quel senso di gratitudine che abbiamo provato nel sentirsi parte della sua Grande famiglia.
Sono convinto che a Corrado spetti uno dei posti di spicco fra i Grandi della storia della nostra Rovigno poiché, pur avendo raggiunto straordinari successi e traguardi nel campo della sua attività lavorativa, è rimasto sempre fedele alle proprie origini, fiero di appartenere al popolo rovignese.
Nonostante questa incolmabile perdita, Corrado vivrà in noi, nei nostri pensieri e nei nostri ricordi........riposi in pace.
Riccardo Bosazzi
Le robuste bitte in sasso che puntellano il porto di Rovigno raccontano un'altra storia, non è quella che ci scorre tra le dita come sabbia. Osservale e rifletti: perché stanno lì? Sono come il campanile di Sant'Eufemia, il tempo le accarezza senza ferirle, ha la mano leggera, il lento susseguirsi delle stagioni le rinvigorisce. Assomigliano a solitarie querce secolari, la gente le sfiora soltanto e fa fatica a trovare la giusta connessione con l'anarchia delle centinaia di barchette ancorate nel porto: vi si appoggia, ci si siede sopra, credono forse che siano state messe come punti di ristoro... La loro antica funzione è contraddetta dal fondale basso e limaccioso incapace di ospitare imbarcazioni di maggior dimensione. Le bitte rovignesi ci offrono un bel esempio del corto circuito prodottosi tra il passato e il presente. Le acque del nostro porto sono molto, molto più profonde, il fondo è duro non certo sabbioso, l'apparenza è il frutto di decenni d'incuria, un tempo il fondale veniva dragato con costanza, lo si puliva per mantenere la giusta profondità adatta a ospitare navi non certo barchette e le bitte offrivano l'adeguata sicurezza di un buon ormeggio.
Una testimonianza di quello che è stato il porto ce la offre lo storico Bernardo Benussi nella sua “Storia documentata di Rovigno”. La lettura di questo breve passo può servire a riconnettere i fili, serve a “far luce” e quindi a ricongiungere in modo corretto il passato e il presente. Ecco quindi in modo plastico sintetizzata la funzione delle nostre bitte, belle e possenti:
“Rovigno possedeva, alla fine del 1886, 95 barche da pesca di 289 ton.; con 441 uomini d'equipaggio. Nel 1885-86 nella stagione estiva (173 giorni di pesca) presero parte alla pesca 408 persone ed ebbero una rendita complessiva di fiorini 32.877; nella stagione invernale (158 giorni di pesca) vi si dedicarono 397 persone con una rendita di fiorini 24.559; là onde ogni pescatore rovignese guadagnò in media 43 soldi al giorno. Oltre ai Rovignesi, presero parte alla pesca 140 pescatori regnicoli (Regno d' Italia) nella stagione estiva, 160 nella stagione invernale con un ricavato di fiorini 22.400, cioè di soldi 45 al giorno.
Ha inoltre Rovigno: 26 legni di piccolo cabotaggio di 404 ton. con 84 persone d'equipaggio, e 49 barche numerate e d'allibo di 86 ton. con 103 d' equipaggio. Complessivamente quindi 170 legni di 779 ton. con 628 persone d'equipaggio.”
Il Benussi poi offre una suggestiva panoramica della movimentazione portuale:
“Nel 1886 entrarono nel porto di Rovigno 2937 navigli della portata complessiva di 260.343 tonnellate; 2407 navigli con bandira austro-ungarica, 10 con bandiera greca, 505 con bandiera italiana, 8 con bandiera montenegrina, 7 con bandiera turca: - ne uscirono 2932 navigli con 260.266 tonnellate. Dei navigli entrati, furono operanti: a vela 1195 con 43.436 ton., a vapore 1742 con 216.907 ton.; dei navigli usciti, furono operanti: a vela 1190 con 43.359 ton., a vapore 1742 con 216.907 ton.
Nel detto anno 1886 vennero importate per via di mare 103.219 quintali metrici di merci, ed esportati quintali metrici 150.803”.
Nella bella descrizione che il Benussi offre della nostra città egli dà un quadro preciso dei due porti:
“Nei due porti che ricingono la città, quello di Valdibora s'allunga sul lato di settentrione per oltre tre miglia; ha un miglio e mezzo circa di larghezza ed è capace delle maggiori navi. Lo chiude al Nord la costiera di S. Pelagio colla penisola della Muccia, al Sud la città, all' Est la terra ferma ove fa bella mostra di sé la Stazione ferroviaria all'estremità del tronco Canfanaro- Rovigno. La penisola della Muccia colle isole Figarola grande e piccola da un lato, dall'altro il monte di S. Eufemia, convergendo per un tratto in direzione opposta, gli fanno breve schermo verso ponente; e se una diga, partendo dalla Muccia si protendesse per Libeccio approfittando dei bassi fondi ivi esistenti, essa completerebbe la difesa di questo importante porto dell'Adriatico.
A mezzogiorno di Rovigno s'allarga un secondo porto, quello di S. Caterina, per forma e dimensioni non dissimile dal primo; soltanto che viene diviso in due parti dall'amena isola di S. Caterina....
Di questi due parti, la minore- l’Andana- fra la detta isola e la città, è il vero porto commerciale di Rovigno, riserbato ai legni di piccolo cabotaggio, e viene protetto nella sua parte interna da lungo molo. La parte esterna, - cioè la Valdisquero colla spiaggia di Lone- fra l'isola di S. Caterina e la punta di Montauro, è piuttosto una rada che un vero porto: tuttavia la profondità dell’acqua e la natura del fondo marino la rendono eccellente ancoraggio per qualunque naviglio”.
Così il Benussi, chiaro e incisivo nell'indicare ai concittadini la strada della futura prosperità: la costruzione della diga a protezione del grande porto di Valdibora sull'esempio delle imponenti dighe costruite a tutela del porto di Trieste dai venti di garbin e ponente.
Noi siamo rimasti fermi all' Andana, nessun passo decisivo è stato compiuto negli ultimi 130 anni se si esclude il prolungamento del Molo Grande durante il governo italiano. La costruzione del Marina di fronte all’albergo Park è una soluzione di ripiego, magra consolazione nonostante il capitale a disposizione.
Una famiglia - una città: la vita non ti accarezza!
Francesco Antonio Segariol è nato a Rovigno il 18 settembre 1888 da Antonio, di mestiere scalpellino, e da Francesca Macchich, casalinga. È entrato in una barbieria a 12 anni, nel 1900 e ne è uscito nel 1960, anno del pensionamento. La sua bottega si trovava al numero dieci di via Edmondo de Amicis, l'antica San Giovanni. È vissuto nella casa dei suoi avi al numero quattro di Corte Masato a un passo da Piazza Grande. È morto il 16 gennaio 1980 all'età di 91 anni. Il Diario è il ritratto fedele della sua vita: non è la storia della città ma il racconto di un'esistenza colta nei piccoli-grandi dettagli della quotidianità. E' necessario accostarsi alla lettura delle pagine in punta di piedi, facendo attenzione a non compromettere l'insieme: tutto si svolge nel breve tragitto dall'abitazione alla bottega e viceversa; i giorni, i mesi e gli anni sono compressi nel passo affrettato del garzone, poi del giovane aitante, dell'adulto oberato dagli stenti e infine dell'anziano che a 72 anni, tira i remi in barca e si lascia trasportare “da la curanteia...” L'abbinamento tra il diario e il lascito del Cherin ti porta a una semplice constatazione: quando la parola incontra la fotografia l'attimo annulla il tempo e il passato diventa presente.
La vita del narratore è filtrata attraverso gli avvenimenti, quando parla di sé lo fa con pudore, misura le parole come in questa pagina che vi proponiamo in cui parla di sua madre e della sua famiglia:
1935
14 Febbraio
Dopo tre giorni dalla paralisi, mia madre, soffrendo terribilmente, è morta, poveretta, questa mattina all'una antimeridiana.
15 Febbraio
Funerale della mia cara madre alle ore 9 ant. Accompagnata dal Corpo Corle vecchio e da un buon numero di persone. Da Pola vengono i cugini A. Macchi fu Pietro e A. Macchi fu Giovanni, essendoché essi portavano alla loro zia un grande affetto. Colla perdita di mio padre, avvenuta il 4 Settembre 1926, la famiglia è stata grandemente colpita, e ora, con la morte della madre, la famiglia è stata addirittura schiantata. Momentaneamente io e mia sorella, abbiamo abbandonato la casa, riportandoci ad abitare dal fratello Luca in Via S. Tommaso.
La mia cara e buona madre contava 83 anni e mezzo, essendo nata addì 9 Agosto 1851. Tanto il padre che la madre quasi mai sono stati ammalati, cosicché a questo riguardo godettero bene i loro anni di vita. Però stettero molto male per disgrazie avute in famiglia (nei figli), malattie e mortalità. In diverse epoche della loro unione patirono ancora per mancanza di lavoro, restando privi di denaro. Mio padre per ben 28 anni dovette assentarsi (in più riprese) da Rovigno per poter sfamare la famiglia, con quel misero guadagno che poteva trarre dal suo lavoro.
Vennero gli anni dell'anteguerra, mio padre si stabilì qui a Rovigno, perché cominciarono dei lavori, cosicché si respirava. Ma venne poi la guerra mondiale, dovemmo anche evacuare dalla città, riportandoci per quasi tre anni quali profughi, soffrendo abbastanza e dando fondo ai miseri risparmi con tanti sacrifici fatti. Ritornati a Rovigno nel Dicembre 1917, patirono ancor più la fame. Io in questo periodo, mi trovavo sotto le armi. Dopo la morte di mio padre mi assunsi il compito di far fronte ai bisogni della famiglia. Abbandonando l'idea di sposarmi, per procacciare il vitto alla madre e alla sorella feci sacrifici immensi per tirare innanzi coi miseri guadagni e colle ognor crescenti tasse.
Pace alle loro anime.
Il Diario riprende con regolarità tre giorni dopo, il diciotto febbraio: con l'amico Dessanti si reca in Palù. Il 23 febbraio registra una “grande mareggiata di ponente-libeccio”. Poi il 18 marzo una annotazione di profondo respiro, quasi una liberazione:
“Ho salito per la prima volta il Monte Monvì. Ivi si gode di una immensa vista.”
Associazione Artistico Culturale Giusto Curto
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