Da dove cominciare la biografia di Eligio Zanini? L'enciclopedia on-line Wikipedia dice di lui: “E' stato un poeta e scrittore italiano, universalmente riconosciuto come il massimo poeta di lingua istriota di tutti i tempi”. Dello stesso tenore la biografia pubblicata sulle pagine dell'enciclopedia istriana Istrapedia in lingua croata. Ligio Zanini è nato a Rovigno il 30 settembre del 1927 ed è morto nella sua città natale il primo luglio 1993.
Nato a Rovigno nel 1927, vi trascorse parte dell'infanzia, fino a quando il padre - carraio - nel 1936 fu costretto a causa di difficoltà economiche a vendere il negozio, trasferendo la famiglia a Pola
Qui il giovane Ligio incontrò dei problemi di inserimento, giacché la sua lingua materna era l'istrioto, mentre a Pola si parlava l'istro-veneto. Verso la fine della seconda guerra mondiale iniziò a frequentare i giovani antifascisti polesi, diplomandosi nel 1947 all'Istituto Magistrale, nel pieno dell'esodo che colpì l'Istria.
Zanini si iscrisse al Partito comunista jugoslavo (PCJ) iniziando ad insegnare nelle scuole elementari, ma gli venne immediatamente affidato il compito di capoufficio per le scuole italiane presso il Dipartimento dell'Istruzione di Pola. In poco tempo si rese conto che questo incarico gli fu affidato in quanto - giovane ed inesperto - poteva essere facilmente influenzato dai funzionari sloveni e croati: da qui Zanini iniziò un percorso di amara riflessione sulle manipolazioni delle ideologie, e nel 1948 - nel pieno del turbolento periodo della rottura fra Tito e Stalin e della caccia al cominformista in Jugoslavia - decise di condannare entrambe le posizioni in lotta, dimettendosi dal PCJ.
Questa decisione gli costò l'arresto: a gennaio del 1949 la polizia segreta jugoslava lo internò nelle carceri di Pola, poi a giugno dello stesso anno - in seguito ad un processo sommario - venne condannato a tredici mesi di lavori forzati presso il campo di concentramento dell'Isola Calva (Goli Otok). La pena si prolungherà, e Zanini in definitiva trascorrerà quasi tre anni ai lavori forzati: un'esperienza che lo segnerà profondamente.
Nel 1952 ritornò in libertà sotto l'impegno di non parlare a nessuno delle terribili esperienze vissute nell'isola, passando quindi un periodo di cosiddetta "libertà sorvegliata". Venne costretto a lavorare come magazziniere nel cantiere navale "Stella Rossa" di Pola, e gli fu espressamente vietato l'insegnamento.
Grazie all'interessamento di amici e intellettuali polesi - che conoscevano la sua produzione poetica, pubblicata non ufficialmente e diffusa in copie dattiloscritte - trovò un nuovo impiego come ragioniere, fino a quando nel 1959 gli fu permesso di tornare ad insegnare. Si trasferì a Salvore, col compito di riattivare la scuola elementare italiana, chiusa nel 1953 per imposizione degli jugoslavi. Nei cinque anni trascorsi nella piccola cittadina, fondò il locale Circolo italiano di cultura (oggi Comunità degli Italiani). Nel 1964 ritornò a Rovigno, impiegandosi come contabile, ma nel 1966 si licenziò, vivendo di pesca fino al 1972, quando gli venne offerto un posto come maestro nella scuola elementare di Valle.
Rimarrà a Valle - vicina a Rovigno, così da non essere obbligato a lasciare l'amatissimo paese natale - fino al pensionamento. Nel 1979 si laureò alla Facoltà di Pedagogia dell'Università di Pola.
Eligio Zanini passò gli ultimi anni della sua vita coltivando le due grandissime passioni della sua vita: la pesca e la poesia, mantenendo rapporti epistolari con alcuni poeti italiani, fra i quali spicca l'amicizia fraterna con Biagio Marin e con Mario Rigoni Stern.
Colpito da un male incurabile, Ligio Zanini morirà nell'ospedale di Pola il 1º luglio 1993.
La prima silloge di poesie Moussoli e scarcaciuò viene pubblicata nel 1965 per conto della casa editrice ALUT di Trieste. L'anno dopo avviene l'incontro con il grande editore milanese Scheiwiller che pubblica la raccolta Boulistro con una prefazione del poeta e saggista Franco Loi. Seguono nel 1968 e nel 1970 la pubblicazione delle raccolte Mar quito e alanbastro e Tiera viecia-stara nell'antologia dei premiati al concorso Istria Nobilissima. Nel 1979 l'Unione Italiana e l'Università popolare di Trieste pubblicano la raccolta di poesie Favalando cul cucal Feleipo che nel 1983 vedrà la riedizione in lingua croata nell'ambito del progetto editoriale L'Istria attraverso i secoli. Nel 1990 per conto della casa editrice di Udine Campanotto viene pubblicato il volume Sul sico de la muorto sagonda e nel 1993 Zanini ritorna alla Scheiwiller che gli pubblica la silloge Cun la prua al vento. Nel 1990 la rivista La Battana pubblicherà il romanzo autobiografico Martin Muma in cui Zanini racconta il dramma dell'Isola Calva. Oltre a numerosi premi ottenuti al concorso Istria Nobilissima Ligio Zanini è stato insignito nel 1991 del Premio nazionale di poesia Biagio Marin
L' undici luglio 1993, a pochi giorni dalla morte, appariva sulle pagine del Corriere della sera, il ricordo- commento di Claudio Magris, il grande germanista, scrittore e saggista triestino, inserito a più riprese nella rosa ristretta dei candidati al premio Nobel per la letteratura. È una lettura comprensibile anche a chi non pratica il mondo delle lettere e della poesia. Considerata la firma prestigiosa dell’autore della dedica e la pubblicazione nelle pagine del più autorevole quotidiano italiano ci sembra utile riproporla sul nostro sito. Anche perché il 30 settembre 2017 ricorreva il novantesimo anniversario della nascita del grande poeta e a Rovigno la data è passata in silenzio, nessuno se né accorto.
Magris non aveva dimenticato l’amico rovignese e per ricordarlo aveva scelto un titolo che commuove:” Ligio Zanini, il poeta e il gabbiano Filippo”:
Il primo luglio, all' ospedale di Pola, stroncato a sessantasei anni da una malattia più forte della sua sanguigna e indomita vitalità che aveva resistito a tremende violenze della storia, è morto Ligio Zanini, un poeta di grande originalità e freschezza creativa, di cui soltanto pochi, in Italia. fra i quali Franco Loi e Vanni Scheiwiller, si erano veramente accorti. Con lui si è spenta una voce che ha espresso, in assoluta autonomia e senza alcuna chiusura locale, ma con totale apertura al mondo, il dramma dell’Istria nell' ultimo mezzo secolo, un dramma nel quale si sono rispecchiati, su una scala geograficamente ridotta ma storicamente esemplare, le tensioni, le lacerazioni, i disinganni, le contraddizioni, le contese del mondo. Prima di essere poeta nella sua affascinante lirica, Ligio Zanini lo è stato nella vita, che egli ha vissuto con passione, ingenuità, onestà incorruttibile, coraggio e con una straordinaria capacità di incantarsi per le cose nonostante le ingiustizie e le sofferenze patite e di pagare senza batter ciglio il prezzo delle proprie illusioni. Nato a Rovigno, l’incantevole città istriana, nel 1927 e incarnazione, nel suo modo di essere e di sentire, nella musica della sua poesia e della sua vita, di quella plurisecolare civiltà veneta, della sua gentilezza e robustezza, Zanini è stato anti fascista, accesamente avverso alla persecutoria politica anti slava del fascismo italiano. Alla fine della seconda guerra mondiale, ha creduto nella Jugoslavia titoista ossia nel comunismo quale superamento dei dissidi nazionali in una più alta fraternità. Nei tragici momenti del dopoguerra, quando si decideva il destino dell’Istria e le commissioni internazionali arrivavano in quelle terre per cercare di capirne la composizione etnica, Zanini, come mi raccontava egli stesso, pur essendo italiano era fra coloro che gridavano in croato "Vogliamo Tito" durante le visite di quelle delegazioni. Poco dopo l’esodo, che vide decine di migliaia di italiani andarsene dall' Istria, Zanini si accorse ben presto che l’insegna dell’internazionalismo mascherava, in quel momento di riscossa, un nazionalismo slavo indiscriminatamente violento verso gli italiani. Egli stesso conobbe l’inferno del lager di Goli Otok, l’isola nella quale il governo jugoslavo, dopo la grande rottura con Stalin e nel timore di colpi di Stato stalinisti, fece deportare, sottoponendoli a violenze e sevizie d' ogni genere, avversari veri e presunti di ogni tendenza, anche comunisti libertari come lui. Uscito dopo tre anni da quell' incubo, Zanini visse, specialmente all’inizio, fra varie difficoltà; avrebbe potuto recarsi in Italia, dove avrebbe avuto un' esistenza diversa, ma non lo fece perché', come mi disse, non gli pareva giusto mangiare nel piatto in cui aveva sputato, e anche perché' sentiva il dovere di restare, di rendere testimonianza della sua civiltà e della sua gente là dove era più difficile, nella desolata situazione dell' Istria, certo più dura, per gli italiani rimasti, della pur ben dura condizione degli esuli che l' avevano abbandonata. Dopo aver ricoperto per alcuni anni vari incarichi didattici presso le scuole italiane, era infatti maestro elementare, si ritirò, in totale indipendenza, facendo il pescatore e sopravvivendo grazie a ciò che pescava uscendo ogni mattino con la sua barca in quel mare rovignese e fra le sue isole di una bellezza assoluta e dedicandosi alla poesia. Le sofferenze patite non avevano scalfito la sua serenità , la sua fanciullesca freschezza, ne' avevano turbato il suo sentire sovranazionale: avverso al nazionalismo slavo, sino al punto di dimettersi nel 1990 dall' Associazione degli scrittori della Croazia quando essa aveva assunto la denominazione etnicamente restrittiva "Associazione degli scrittori croati" e difensore della identità italiana, Zanini è rimasto estraneo a ogni risentimento nazionale italiano e ha visto nel libero dialogo fra italiani e slavi il suo mondo. Un anno fa, sono stato in barca con lui, a Rovigno. Mentre remava o attraccava, guardavo i suoi gesti forti e tranquilli, lo sguardo azzurro e fermo plasmato dal mare, e pensavo che quell’uomo, quel pescatore, era passato interiormente indenne attraverso delusioni, sofferenze e attraverso le violenze fisiche del lager di Goli Otok, che egli ha descritto nel suo romanzo Martin Umma, del 1990, edito dalla rivista La Battana di Fiume, affresco epico di quella sua storia, che è insieme storia corale della sua gente e apologo di speranze, utopie e delusioni di un movimento di portata mondiale. Da anni, Zanini viveva sul mare, con le vele, i pesci e i gabbiani, quel gabbiano Fileipo (Filippo) col quale egli dialoga nelle sue poesie. Nelle sue liriche in dialetto rovignese, uscite in varie raccolte e di recente nel volume Cun la prua al vento, edizioni Scheiwiller, l’esperienza storica, la tensione morale, l’avventura nel tempo sono presenti ma fuse nel non tempo del mare, di una vita guardata faccia a faccia nella sua essenza. Quando non è folclore vernacolo, il dialetto può essere un linguaggio per eccellenza della poesia, più resistente agli ingranaggi della retorica. Zanini non si disinteressava certo di politica, seguiva con passione gli eventi turbinosi, pieni di speranza e di minaccia, della sua terra, ma quando gli avevano chiesto di candidarsi, aveva detto che lui, come altri suoi coetanei, apparteneva a una generazione che aveva fatto il suo tempo e che, a prescindere dai suoi meriti ed errori, doveva farsi da parte. E prendeva la barca e andava al largo, come ha fatto adesso.
Claudio Magris
Noi rovignesi, lo ricordiamo taciturno e solo, quando la sera ritornava dal mare e si “armisava” in porto, percorrendo guardingo i pochi metri che lo separavano dall'uscio di casa, tra Sottolatina e Piazza delle erbe.
Il “peso” di quel tratto di Sottolatina da attraversare solo e indifeso sotto gli occhi della “sua” vigile comunità è rappresentato con lacerante verità in una lettera che il grande poeta gradese Biagio Marin inviò all'amico poeta rovignese il 3 maggio 1980.
Caro Ligio,
mi è arrivata la Tua del 27 aprile che mi ha molto commosso, anzi turbato. Avverto la tua grande solitudine e la lontananza in cui vivi da quel mondo che in realtà ti è profondamente estraneo. Questa lontananza si avverte in questa tua lettera ad ogni parola; ed io sento il bisogno di ritornare a te a dirti il mio affetto, a dirti la mia stima, a dirti che in quella tua così tragica agonia non sei solo perché io ti sono vicino con tutta l'anima soffrendo delle identiche ragioni che fanno soffrire te. Vedi, io qui in questo mio paese, sono altrettanto solo di te. Non l'ho così dura, come te; sono rimasto vedovo alla fine del gennaio '79, ma ho con me la mia figlia maggiore, che ha lasciato la sua casa a Rom e una figliola che ora è sola in quella casa.
Ciò non pertanto, con le diecimila anime che abitano Grado io in realtà non ho nessun rapporto vivo. È strano come l'essere poeti isoli, perché voglia o non voglia, si ha diversa sensibilità e si ha soprattutto una potenza di trasformazione della realtà nella sua immediatezza, che gli altri non hanno. Il tuo rapporto con i gabbiani e in modo particolare con quel tuo amico che veniva a prendersi il pesce che tu gli offrivi, rivela una potenza di vita e d'immaginazione, che gli altri non hanno. Tu ricordi certamente la novella di Andersen del brutto anatroccolo e sai come esso era perseguitato dalle anatre che erano diverse da lui; lui, destinato a diventare cigno, e ad un certo momento a levarsi a volo ben alto nei cieli per conquistarsi la distanza e l'altezza. Naturalmente le anatre non potevano seguirlo in quel volo. Penso che nessuno a Rovigno possa seguire te nel tuo volo. Ti dirò di più: nella tua umanità. Certo è che quando tu rientravi con la tua batana e ti ormeggiavi al molo tra le batane degli altri, sapevi manovrare quanto gli altri e non sbattevi la tua barca nel molo né contro le altre barche. Eri un marinaio che sapeva l'arte come gli altri. Essi ti guardavano con diffidenza e allo stesso tempo con meraviglia per la sicurezza di mestiere che avevi. Ciò però non impediva loro di sentirti diverso e lontano e pertanto di farti sentire la loro diffidenza. Per quanto un nobile faccia, non può mai sparire tra gli anonimi di una folla o anche tra gli altri. Perciò anche in quei momenti tu eri solo e vedevi non solo l'estraneità degli sguardi, ma anche la sottintesa ostilità. Naturalmente quegli sguardi ti ferivano, e profondamente, perché insistevano a farti sentire che tra loro non eri accettato, non eri considerato dei loro. E quando andavi a casa col tuo pescato, quel pescato pesava come se fosse stato di piombo. E quando a casa lo preparavi per il tuo boccone, ancora una volta dovevi sentirti estraneo a quel mondo, per il quale tu eri rimasto nella tua città e avevi rinunciato alle facili vie dell'esilio. Quella tua fedeltà, quel tuo amore profondo, esclusivo, tu l'hai dovuto pagare caro. Ai miei occhi sei stato l'eroe dell'amore alla propria terra, alla propria città e sì, perfino alla propria gente, che pur ti ripudiava. Certo il tuo dramma è stato molto doloroso e io, se lo penso, lo soffro in me con grande strazio. E vedi, da questa mia compartecipazione alla vita tua più intima, mi è venuto il bisogno di venire a te a dirti che mi sei fratello e che ti voglio molto bene e che ti vivo accanto con tutta la comprensione che può avere un poeta per il proprio fratello. Non posso far altro se non venire a te con questo mio affetto ad augurarti che la poesia possa rasserenarti e possa essere attorno a te, sopra di te, cielo.
Ero bambino ancora, quando mio padre, che aveva un trabaccolo, mi portò a Rovigno. Poi da Orsera, dove spesse volte sono ritornato sempre col trabaccolo di mio padre, per caricare vino, vedevo la tua Sant'Eufemia profilarsi sull'orizzonte di mezzodì. Negli ultimi anni sono stato a Rovigno penso due volte e l'ho trovata un regno degno dell'epopea omerica. È incredibile quanto di Grecia ci sia in quel tuo luogo natale. Io capisco molto bene coloro che non l'hanno potuta abbandonare e capisco che il vostro linguaggio nessun altro in Istria lo parli, perché si tratta veramente di un mondo a sé stante, isolato, lontano da tutti gli altri. E tu sei il cantore di questo mondo assorto in una lontananza che io penso nessuno possa superare.
È uscito recentemente un mio volumetto di versi, ma per ora non te lo posso mandare perché non ho ancora ricevuto le copie che ho ordinato per gli amici.
Dopo di che, caro Ligio, ti abbraccio con tutta l'anima augurandoti molta ala perché solo l'ala può essere la nostra salvezza.
Ti abbraccia e saluta
Biagio Marin
Associazione Artistico Culturale Giusto Curto
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